giovedì 2 novembre 2017

Cittanòva Blues

Di Francesco Guccini, apprezzato cantautore italiano, avevo già letto alcuni libri: Dizionario delle cose perdute, tanto per citarne uno.
Avevo letto questo testo nel 2014 con questo commento finale: "La Bologna degli anni 50 con riti, miti, luoghi di incontro, amori, politica, musica, naja e osterie. Chi lo ha detto che le epopee possano essere raccontate dagli americani. Anche la piccola Bologna, con i suoi portici può diventare il mediterraneo che narra vicende picaresche. Un bel "come eravamo".

Non vi è nulla di triste nel racconto, nessun rimpianto... anzi... raccontando le gesta dei nostri eroi... giovani e meno giovani... spostati dalla campagna alla città... alle loro peripezie... alle novità che arrivavano dall'estero ... scopriamo con grandi risate, il cambiamento che condiziona ancora oggi la società italiana...

 
Ora ne riprendo i contenuti e completo con la didascalia contenuta in sovra copertina.
"Cittanova blues è la Bologna della fine degli anni '50 all'inizio degli anni '70. In una prosa poetica ricca di echi, di vibrazioni e di sfumature, intarsiata di dialetto, di gergo e di preziosismi letterari eppure sempre leggibile per il ritmo rapinoso che sa creare e per gli irresistibili effetti ora espressionistici, ora lirici e comici, Guccini racconta la vita picaresca dei "musici" negli anni '60 e quella dei ragazzi e della ragazze di allora, con tutti i loro luoghi, i loro miti e i loro sogni: la prima Cinquecento (il Centoscudi), la garçonnière (il trappolo) la naja, le osterie, i primi gruppi musicali, che oggi sono le band, ma una volta si chiamavano ancora complessi...
E' un canto, quello di Guccini, su una città, un'epoca e un mondo che non ci sono più.
Ma lo spirito é tutt'altro che provinciale, il respiro è ampio, felice, liberatorio, come quello del blues dei neri d'America che evoca i grandi paesaggi della Louisiana e di New Orleans.
I lettori di Cròniche Epafaniche e Vacca di un cane riconosceranno in Cittanova Blues l'ultimo atto, il compimento di una trilogia nata sull'Appennino e passata per Modena (la città della Motta), ritroveranno le passioni antropologiche di Guccini e la sua natura di indagatore minuzioso della lingua, della cultura materiale e del panteon spirituale di genti semplici ma sapienti, cresciute al ritmo della terra e delle stagioni, modellate dal lavoro e dai riti della famiglia e della comunità, prima di essere travolta dall'onda del moderno.
Quell'occhio, capace com'é di scrutare nelle goffaggini, nelle durezze, nella inerme euforia della giovinezza, ci offre un ritratto indimenticabile di una provincia nella quale si può ormai riconoscere gran parte sia della provincia italiana degli anni '60 sia di una generazione, quella che oggi si avvia a "tirar le reti".
Si tratta di una generazione importante, che ha molto influenzato le successive, che ha molto lottato, molto sognato e molto sbagliato e che qui si ritroverà in una foto nient'affatto in posa.
In queste pagine il lettore non coglierà né esaltazioni né ritrattazioni, né invocazioni nostalgiche, né bilanci amari..."
 
 
 
 
 
 

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