mercoledì 30 agosto 2017

L'arte della fuga

 Arrivo così alla lettura del terzo libro di Sjöberg, dedicato questa volta alla figura di Gunnar Widforss, pittore poco noto in Europa, un poco nella sua patria natale (la Svezia), tantissimo negli States. Casualità vuole, che l'inserto culturale de "La Repubblica" di domenica scorsa, riporti un suo articolo (ma di questo ne parlerò dopo).
Dividerò in tre parti questo post: una prima dedicata al libro, una seconda dedicata al metodo di Sjöberg ed una terza appunto alla tendenza attuale dei libri che si occupano di natura....
UNO "L'arte della fuga", testo che narra una biografia, quella di Gunnar Widforss appunto, non è riuscito a coinvolgermi più di tanto... a tratti confuso, qua e là promettente novità dirompenti (tipo certi giornali scandalistici) senza poi mantenere, a tratti rimanda e poi dimentica... Tutto il potenziale dei precedenti scritti si è perso, dove non lo so.
Gunnar Widforss svedese di origine, pittore per passione, diventa famoso dipingendo natura... in particolare in America, quale pittore dei Parchi Naturali, finendo per essere amato al punto che, a lui è dedicata una cima nel Grand Canyon.
Così come per i precedenti racconti, la storia di Widforss si dipana tra passato e presente, tra vicende reali ed ipotesi... quasi una ricerca storica, a cui si affiancano note e nozioni, a volte attinenti, a volte così, come se passando in treno, due viaggiatori si scambiassero opinioni e storie, stimolati dal paesaggio...
Scrive l'Editore nella prefazione "Le esperienze artistiche possono essere travolgenti quasi quanto gli amori, pensa Fredrick Sjöberg, quando in una casa d'aste di Stoccolma rimane folgorato dal dipinto di un pino. Spinto dalla sua proverbiale passione per tutto ciò che é insolito, scopre che l'artista é Gunnar Widforss (1879-1934), tanto sconosciuto in Europa, quanto amato in Nord-America, dove è considerato il pittore dei Parchi Nazionali .... Comincia così un'avventura sulle tracce di opere, lettere, e fonti sperdute per ricostruire la vita, la vocazione e l'ossessione di questo inquieto acquarellista: un vagabondo squattrinato alla solitaria ricerca di bellezza, stretto tra il bisogno di creare e l'ansia di riuscire, che dopo aver girato mezzo mondo, pianta la sua tenda nello Yosemite e dedica i suoi giorni a ritrarre i più suggestivi paesaggi d'oltreoceano".
Come si  giustifica Sjöberg, ed in questo comincia ad assomigliare al buon Javier Cercas (vedi) ed all'altrettanto bravo Carrère (vedi)? "Sappiamo poco di tutto. E' raro che sappiamo molto di qualcosa, e solo in casi eccezionali ne sappiamo più di tutti gli altri. Di solito si diventa i migliori in un campo estremamente limitato e insignificante, é comunque già qualcosa ed è sorprendentemente facile riuscirci, in particolare se lo paragoniamo alla difficoltà di star dietro a tutto il resto, alle cose di cui sappiamo un po' ma non troppo. Alla fine ci ritroviamo li con le nostre mezze conoscenze a domandarci a cosa serve tutto questo"...
Insomma: anche se gli spunti sono ottimi, la storia narrata interessante, le divagazioni divertenti ed istruttive, questo libro non decolla... il volersi giustificare a tutti i costi dopo un poco rompe... e a poco serve sentirsi raccontare la storia di Edward Beale e i cammelli importati in America per combattere gli indiani o la nascita della Wilderness, il Fletcherismo, cioè il dimagrire masticando molto ma molto lentamente... o la storia del magnate del Chewing-gum... mi spiace, di storie così ne troviamo a bizzeffe...
DUE Sjöberg è alla sua terza prova... dopo "l'arte di collezionare mosche" e  "il re dell'uvetta" eccoci alle prese con "L'arte della fuga".... cominciamo subito con il dire che mentre il primo libro era una biografia mascherata da testo scientifico (e comunque un ottimo ed istruttivo testo), il secondo era una biografia di un'anima inquieta e quest'ultimo lo è altrettanto... ma mentre nel secondo episodio la storia filava via liscia, questo non va... troppi dubbi, troppi rimandi... l'idea dello scrivere di Sjöberg è stata da lui più volte esplicitata: "costruire un'impalcatura su cui far salire i rami della storia principale"... un'arte che altri hanno sperimentato... uno per tutti "Bill Bryson" che con le sue storie di quasi tutto è capace di raccontare il mondo descrivendo la cucina di casa... idea in sé magari non originale ma che, se si è capaci - non sapendo tutto di qualcosa, ma poco di tutto - possono nascere piccoli capolavori... riassunto: partire dal personaggio, di solito un errabondo spiantato, vedere il mondo con i suoi occhi, ricamarci una bella storiella, con parenti, amici, liti ed amori.. ed in tutto questo raccontare il mondo di allora e quello di oggi... ottimo metodo... se si è capaci... pastrocchio se si perde il filo.
TRE il caso ha voluto che l'inserto culturale de "La Repubblica" di questa settimana si occupasse di libri dedicati alla natura (si veda il recente successo de "Le otto montagne" di Paolo Cognetti, vincitore dello Strega) ed in particolare ospitasse un articolo di Sjöberg, il quale, come già nei suoi libri, non condivide le attuali tesi catastrofiste legate all'ambiente e deride i lettori accusandoli di inseguire le mode... e così se ne esce con un "Ditemi perché leggete i miei libri"... Caro amico, se vuoi te lo spiego, e poi ti dico anche (vedi sopra) perché non li leggeremo più.
L'interesse per la lettura legata all'ambiente è altalenante, questo è vero. E forse se c'é un interesse in questo periodo è forse perché siamo bombardati da cattive notizie e preoccupati per come sta andando il nostro pianeta... o forse no? Resta il fatto, questo è certo, che la natura ci affascina e, oltre ai documentari in TV, il libro è un modo per avvicinarsi senza correre rischi... Il vivere nell'ambiente urbano, dentro a cose da noi costruite (case, macchine, uffici...) ci pone al riparo da tanti problemi ma ci allontana irrimediabilmente dalla natura e ne sentiamo la mancanza... forse in modo inconscio.. al punto di doverne leggere, di doverla riconoscere, di volerla poi vivere... senza capirla.
 

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