giovedì 6 febbraio 2014

Nuovi mattini - il 68 degli alpinisti

Ci fu il 68 anche per l'alpinismo?
Si, certamente. Solo che arrivo qualche anno dopo, con Gian Piero Motti e il suo libro "I falliti" POST 
e l'apertura di "Tempi Moderni" sul Caporal.
In discussione erano tutte le vecchie regole: i chiodi, gli scarponi, il CAI, i pantaloni di fustagno, l'aurea di drammaticità che permeava il modo di andare in montagna sino ad allora praticato.
Si arrivo al free climbing. Per alcuni moda, per me parte della mia vita e del mio pensare per molti anni della mia felice giovinezza.
Cambiava tutto, si cercava lo stare insieme e lo svagare della massa. Girare intorno ad una parete e cercare il gesto estremo e l'attimo prima della caduta, allenarsi a trazionare un intero inverno sulla trave per poi giocarsi tutto sul passaggio chiave di un 6a.
E poi, le scarpette della "La Sportiva" e cercare il calzolaio per la risolatura, andare a comprare la corda da 50 metri dell'11 di diametro e passare serate intere a discutere se era meglio averne due del 9. E ancora i nuts, i friends, bulloni e chiodi. E la magnesite, i pantaloncini aderenti, la fascia intorno ai capelli oppure no.
Chi ci vedeva ci prendeva per matti: si parlava muovendo mani e braccia a mimare il punto chiave, il passaggio, a risentire la tensione e la fatica a sognare "il bel gesto".
E poi le fughe a Finale Ligure sul calcare, spesso in mandrie da dieci persone, con morose e amici al seguito, e poi tutti a mangiare pasta al pesto o cinghiale. Dormire nell'albergo da due soldi, dove ti davano a malapena la branda e il mattino a prendere le focacce.
E poi si ritornava, ognuno nella sua palestra ad inanellare tiri su tiri di corda. E la difficoltà saliva. Arrivò anche "Re Azul" un 7b+ estenuante di cui conservo una bellissima fotografia.
E ogni volta era un ridere, quando arrivavano i "foresti" a spiarli per vedere quanto fossero bravi e invogliarli su passaggi mai risolti e poi dire "caspita hai visto !?".
Si ci fu il 68 per l'alpinismo e meno male. 

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